I detenuti rivelano alti tassi di malattie infettive e non infettive, disabilità cognitive, malattie mentali, disturbi da uso di sostanze, autolesionismo, e tentativi di suicidio. Queste condizioni di salute complesse e in comorbidità, sono presenti in uno scenario caratterizzato da traumi e abusi preesistenti radicati. All’argomento è dedicato l’articolo “Qual è lo stato di salute di chi abita il carcere?” I risultati di una revisione, pubblicato il 30 aprile 2024 su questo sito.
La scarcerazione, che ogni anno coinvolge oltre 30 milioni di individui, con cifre in aumento a un ritmo superiore alla crescita della popolazione, aggrava una condizione già precaria, perché implica per chi esce dal carcere, l’urgenza di cercare alloggio e lavoro, ottenere l’accesso ai servizi sanitari e reintegrarsi nelle famiglie e nelle comunità.
Ne consegue che spesso gli ex detenuti esibiscono profili di salute carenti e corrono un maggiore rischio di mortalità prevenibile rispetto ai loro pari nella popolazione generale. Sebbene la letteratura documenti un rischio elevato di morte prematura nel periodo immediatamente successivo al rilascio dal carcere, gran parte degli studi soffre di potenza statistica inadeguata e scarsa precisione a anche gli studi di maggiori dimensioni hanno una limitata capacità di disaggregare, vale a dire scomporre i dati globali sulla mortalità in cause specifiche di morte (overdose, suicidio, violenza), sottopopolazioni (donne giovani, minoranze etniche), finestre temporali (numero di settimane successive alla scarcerazione). In sintesi le attuali conoscenze epidemiologiche sulla mortalità dopo il carcere non offrono informazioni sufficientemente dettagliate utili a orientare interventi di prevenzione mirata e selettiva.
Lo studio Borschmann pubblicato ad aprile 2024 su Lancet, intende colmare l’attuale lacuna conoscitiva, documentando l’incidenza, i tempi e i fattori di rischio per tutte le cause di morte e, soprattutto, per causa specifica successive al rilascio dal carcere.
Metodi
Lo studio Borschmann ha tratto i dati dal Mortality After Release from Incarceration Consortium (MARIC), una collaborazione internazionale, multidisciplinare di ricercatori, medici e politici che rappresenta il più grande sforzo coordinato a livello mondiale per esaminare la mortalità negli adulti che hanno subito la carcerazione. Consiste di 30 studi di coorte che hanno esaminato la mortalità in 1.502.007 adulti rilasciati dal carcere tra il 1980 e il 2018 in 12 paesi occidentali, per lo più ad alto reddito. Per approfondire sul Consorzio MARIC si consiglia la lettura dell’articolo pubblicato da Borschmann e colleghi nel 2020 sulla rivista International journal of population data science.
Il presente studio ha analizzato solo 18 delle 30 coorti, ovvero le coorti che includevano campioni generici non selezionati, di persone rilasciate dal carcere nel periodo di studio previsto, vale a dire chiunque è stato scarcerato dal 1980 al 2018: 1.471.526 persone (1 299 322 [88,3%] erano maschi e 172 204 [11,7%] erano femmine), per un totale di 10.534.441 anni-persona di tempo di follow-up (il tempo di follow-up per persona varia da 1 a 14 mesi) e 75.427 morti. Di questo esteso campione sono stati esaminati gli esiti di mortalità.
In sintesi sono stati combinati i dati dei 18 studi di coorte utilizzando meta-analisi in due fasi dei dati dei singoli partecipanti, per stimare i tassi grezzi di mortalità (CMR) – numero di decessi ogni 100.000 persone all’anno – aggregati per tutte le cause e per causa specifica, riferiti a periodi di tempo definiti dopo la scarcerazione. Il tasso grezzo di mortalità è sia complessivo che stratificato per età, sesso e regione.
Risultati
Nel periodo 1980-2018 su 1.471.526 persone che hanno lasciato il carcere negli otto paesi presi in esame, 75.427 sono decedute, il tasso grezzo di mortalità per tutte le cause dopo il rilascio dalla carcerazione indice è stato in media di 725 decessi per 100.000 persone/anno, non sono state riscontrate differenze importanti tra maschi e femmine (tasso grezzo di mortalità 731 VS 660), e tassi più elevati nei gruppi di età più avanzata.
Il tasso grezzo di mortalità per tutte le cause durante la prima settimana successiva al rilascio (1.612 in media) è stato più elevato rispetto a tutti gli altri periodi di tempo. I più alti tassi di mortalità per specifica causa durante la prima settimana erano dovuti ad intossicazione da alcol e droghe, suicidio e malattie cardiovascolari. Si sono osservate notevoli variazioni nei tassi grezzi di mortalità per cause specifiche sia rispetto al tempo trascorso dal momento della scarcerazione, sia tra le varie nazioni.
Considerazioni e suggerimenti
L’analisi dei dati riferiti a 1.471.526 persone rilasciate dalla detenzione in otto paesi, nel periodo 1980-2018 dimostra un alto tasso di mortalità dovuto a una serie di cause per lo più prevenibili. Questo tasso è stato più alto durante la prima settimana dopo il rilascio e le tre cause di morte più comuni durante questo periodo sono state l’intossicazione per abuso di alcol e droghe, il suicidio e le malattie cardiovascolari. Le malattie infettive rappresentavano circa un decesso su 20. Aumentando l’età dei soggetti e il periodo di tempo trascorso dalla scarcerazione, il peso della mortalità si è spostato verso le malattie non trasmissibili – in particolare malattie cardiovascolari, cancro, diabete e malattie del fegato – che complessivamente rappresentano il 39% di tutti i decessi. Non è stata riscontrata alcuna associazione tra sesso e tasso di mortalità per tutte le cause, dopo il rilascio dal carcere.
Le persone con una storia di detenzione e una doppia diagnosi di malattia mentale e disturbo da uso di sostanze corrono un rischio più alto di esiti avversi, tra cui overdose e suicidio: dallo studio Borschmann si evince che l’intossicazione per abuso di alcol e droghe e il suicidio sono state le due principali cause di morte nelle prime 2 settimane dopo l’uscita dal carcere, e il tasso di morte per abuso di alcol e droghe risulta superiore al tasso di qualsiasi altra causa di morte durante tutti i periodi di tempo osservati. I risultati sono fortemente favorevoli alla richiesta di maggiori investimenti per dare supporto in modo coordinato e continuo alla salute mentale e per il trattamento dell’uso di sostanze verso i detenuti che tornano in libertà. Inoltre sono in linea con l’appello del 2010 (poi aggiornato nel 2014) dell’OMS, per allertare sul numero sproporzionato di decessi legati alla droga tra i carcerati subito dopo il rilascio, un po’ in tutto il mondo.
Merita tuttavia sottolineare che la stragrande maggioranza dei decessi per overdose nel nostro campione (14.671 [91,0%] su 16.126) si è verificata più di 4 settimane dopo il rilascio, per cui intervenire con tempestività nella fase critica dei primi giorni potrebbe evitare solo un numero molto esiguo di decessi. Sarà invece necessario affiancare investimenti importanti nei confronti di trattamenti scientificamente solidi e provati e di interventi per la riduzione del danno, per avere un impatto positivo e misurabile sul numero di persone morte dopo la scarcerazione per overdose o intossicazione alcolica.
La sola coorte che nel periodo successivo al rilascio riferisce il più basso tasso di morte per intossicazione da alcol e droghe era la coorte del Brasile, dove prevaleva invece, come prima causa la violenza interpersonale. I risultati sono coerenti con i dati epidemiologici a livello di popolazione del Brasile e evidenziano la necessità di adattare gli sforzi preventivi al contesto e al profilo di salute e di rischio del paese in cui si interviene, per aumentarne l’efficacia.
Inoltre l’importanza di indirizzare le azioni di prevenzione verso i decessi per overdose non deve far trascurare altre cause di morte, innanzitutto le malattie croniche legate agli stili di vita, sottostimate dalla letteratura passata, per i periodi relativamente brevi di follow-up degli studi pubblicati, in cui chiaramente prevalgono i decessi per overdose.
Tuttavia, lo studio Borschmann dimostra che la distribuzione delle cause di morte dopo la scarcerazione varia in base al tempo di follow-up. L’invecchiamento della popolazione carceraria, tipico di numerosi paesi, sposta il carico di morbilità e mortalità verso le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete per citare le principali. La promozione della salute e la prevenzione in carcere e dopo il carcere, suggeriscono Borschmann e colleghi dovrà perciò orientarsi verso interventi indirizzati a due obiettivi complementari: prevenire i decessi da eventi acuti delle prime settimane successive al rilascio (intossicazione per abuso di alcol e droghe, suicidio e violenza interpersonale), supportare la salute e ridurre l’insorgenza, la progressione e la gravità delle malattie croniche e infettive (per esempio migliorando la dieta, riducendo l’uso di sostanze e aumentando l’attività fisica) durante e dopo la carcerazione.
Gli operatori sanitari che operano nel sistema penitenziario, in conformità con gli standard internazionali stabiliti, dovrebbero, come minimo, garantire ai detenuti le tre componenti fondamentali dell’assistenza sanitaria:
- valutazione regolare dello stato di salute e identificazione dei bisogni di assistenza sanitaria in entrata, mediante uno screening completo che dovrebbe includere malattie mentali, disturbi da uso di sostanze, disabilità cognitive, disturbi dello sviluppo neurologico, malattie non trasmissibili e malattie infettive.
- assistenza sanitaria di qualità pari all’assistenza per la popolazione e garanzia per chi è detenuto di accesso a tutti i servizi sanitari necessari, gratuitamente, senza discriminazioni basate sullo status giuridico. Considerati gli alti tassi di intossicazione per abuso di alcol e droghe e di suicidio, è necessario includere la somministrazione di farmaci ad hoc. Inoltre, l’alto consumo quotidiano di sigarette tra i detenuti (in molti paesi oltre il 70%) dovrebbero considerare prioritari gli interventi per ridurre i livelli di dipendenza dalla nicotina.
- le autorità penitenziarie devono preparare le persone che si accingono a lasciare il carcere prevedendo valutazione dei bisogni per-rilascio e assistenza sanitaria transitoria coordinata, inclusa la fornitura del farmaco antagonista degli oppioidi naloxone, per chi ha problemi di dipendenza.
I governi devono mobilitarsi con sforzi globali per prevenire i decessi dopo la scarcerazione, perché del problema non se ne possono far carico solo gli operatori sanitari che operano nel sistema penitenziario. I governi devono sviluppare e attuare risposte coordinate e basate sull’evidenza su larga scala, per garantire che le persone uscite dal carcere abbiano pari opportunità non solo di sopravvivere, ma di prosperare. Nel 2019, l’OMS ha raccomandato che le strutture penitenziarie siano incluse in tutte le strategie, le politiche e le pianificazioni inerenti la salute pubblica, adottando un approccio di “salute carceraria in tutte le politiche”. Lo studio Borschmann fornisce prove nuove e convincenti a sostegno di questo approccio.
Lo studio Borschmann 2024 è il più ampio mai condotto sulla mortalità tra la popolazione uscita dal carcere, con dati che coprono otto paesi e quattro decenni e con risultati di notevole ampiezza temporale e geografica. Nondimeno presenta alcuni limiti: innanzitutto non sono disponibili i dati relativi al primissimo periodo di detenzione ed è probabile che per molti partecipanti alla coorte non si trattasse della prima volta fuori dal carcere, soprattutto considerando l’alto tasso di recidiva. Poiché il rischio di morte aumenta ad ogni rilascio successivo, ciò potrebbe aver influenzato i risultati dello studio, che non ha perciò potuto esaminare se il rischio (o le cause) di morte differissero per le persone rilasciate a seguito del loro primo episodio di detenzione.
In secondo luogo, le coorti dello studio provenivano principalmente da paesi ad alto reddito, sebbene la maggior parte della popolazione carceraria appartiene a paesi a basso e medio reddito e resta ad oggi inesplorata dalla ricerca scientifica.
Oltra all’età e al sesso, presi in esame, anche l’etnia, assente nello studio, è un fattore di rischio individuale che si associa ai tassi di detenzione e alla. Inoltre, la semplice classificazione binaria utilizzata per il genere (maschio o femmina), pur riflettendo i sistemi correzionali negli otto paesi, non riesce a considerare gli individui che si identificano come transgender.
Sono assenti informazioni su ciò che è accaduto tra l’uscita dal carcere e il decesso, sarebbe importante conoscere le traiettorie, creando un collegamento tra i dati dei registri amministrativi sanitari, assistenziali e giudiziari. Non è stata esaminata l’associazione tra durata della pena e rischio di mortalità e la mortalità probabilmente varia in base a quanto dura il periodo di carcere e questo sarà l’oggetto di interesse nei futuri risultati MARIC.
Il tasso di morte marcatamente elevato nella prima settimana dopo l’uscita dal carcere, sottolinea l’urgente necessità di investimenti a favore di un’assistenza sanitaria transitoria coordinata e basata sull’evidenza, compreso il trattamento delle malattie mentali e dei disturbi da uso di sostanze per prevenire i decessi per suicidio e overdose. Le variazioni temporali nei tassi e nelle cause di morte evidenziano la necessità di un monitoraggio di routine della mortalità post-rilascio. Solo attuando queste misure si potranno ridurre le disuguaglianze di salute a livello di popolazione.
Riferimenti bibliografici
Borschmann R, Kinner SA, the Mortality After Release from Incarceration Consortium (MARIC) collaborators. Rates and causes of death after release from incarceration among 1471 526 people in eight high-income and middle income countries: an individual participant data meta-analysis. Lancet 2024; https://doi.org/10.1016/S0140-6736(24)00344-1.
Borschmann R, Tibble H, Spittal MJ, et al. The Mortality After Release from Incarceration Consortium (MARIC): Protocol for a multi-national, individual participant data meta-analysis. Int J Popul Data Sci. 2020 Jan 25;5(1):1145. doi: 10.23889/ijpds.v5i1.1145.
WHO. Preventing overdose deaths in the criminal-justice system. Copenhagen: World Health Organization Regional Office for Europe. 2014. https://iris.who.int/handle/10665/326483
A cura di Paola Capra, DoRS Piemonte – paola.capra@dors.it