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Disuguaglianze di salute

Tempo di lettura: 7 minuti

A Saluzzo piove, sono i primi giorni di giugno, per le strade incontro i primi migranti arrivati per la raccolta della frutta che si spostano veloci in bicicletta.

Ad attendermi presso la sede della Caritas Migranti ci sono Virginia Sabattini coordinatrice del progetto Saluzzo Migranti e del progetto Sipla contro lo sfruttamento lavorativo, Tatiana Noviello operatrice equipe Saluzzo Migranti, Marianna Cervino, volontaria, Maddalena Rossi, tirocinante e mediatrice interculturale, Clara Vecchiato, operatrice equipe Saluzzo Migranti Tiziana Bertero, volontaria (medico in pensione), Rinalda Lingua, volontaria (infermiera in pensione), Paolo Allemano, volontario (medico in pensione).

Entro in uno stanzone diviso in due da pesanti tende, da una parte i vestiti, le scarpe e i pezzi di ricambio per le biciclette, un cartellone con i turni per le docce e dall’altra qualche sedia e alcune valigie su scaffali in metallo. In un angolo delle coperte arrotolate e chiuse con un nastro. Mi raccontano che le distribuiscono ai migranti, soprattutto a quelli che non hanno un posto per dormire. I nastri servono per legarle alle biciclette, il mezzo che usano abitualmente per spostarsi. 

Come è cambiata, nel tempo, la manodopera impiegata nella raccolta delle frutta nella zona del Saluzzese, in Piemonte?

Virginia mi racconta che hanno osservato dei cambiamenti soprattutto dal 2010, in quegli anni cominciano ad essere presenti sul territorio in modo massiccio i braccianti agricoli provenienti dalle zone dell’Africa subsahariana. Si tratta di persone arrivate in Italia già da qualche anno che, a causa della crisi economica, hanno perso il lavoro.

Sono braccianti agricoli che non arrivano in Italia tramite il decreto flussi (1) ovvero non sono chiamati apposta dal datore di lavoro per la raccolta della frutta e, finito il lavoro, tornano al paese di origine. Sono braccianti che si spostano in Italia da una regione all’altra in cerca di lavoro.

Nel 2010 il numero dei braccianti agricoli arrivati nelle zone del Saluzzese è basso, poche decine. Nel 2013 sono oltre 400 considerando solo quelli senza un alloggio. Il datore di lavoro, in questo caso, non ha l’onere di provvedere all’alloggio in quanto i braccianti non arrivano tramite il decreto flussi.

La crisi del nord Africa ha influito sull’arrivo massiccio in Italia di persone poco qualificate, molto disorientate e con nessuna conoscenza della lingua.

Molti di loro si trovano a vivere nei ghetti del sud Italia dove conoscono il mondo agricolo e iniziano a scoprire che esiste una stagionalità della raccolta. Quando non si raccolgono le arance a Rosarno e i pomodori nel foggiano, si raccoglie la frutta nel saluzzese. Aumenta dunque il nuovo flusso interno di lavoratori che arrivano nella zona del saluzzese senza una casa.

Questi nuovi lavoratori si affiancano ai precedenti e a quelli che giungono attraverso il decreto flussi, anche se questa quota sta diminuendo nel tempo, appena il 10% arriva in Italia tramite i flussi. La necessità è di circa 13000 unità nel territorio del saluzzese che comprende oltre 30 comuni.

Oltre ai braccianti agricoli provenienti da questi flussi interni, ci sono lavoratori autoctoni e braccianti di origine cinese e dell’Europa dell’est anche se la loro presenza è molto diminuita nel tempo, per esempio molti polacchi sono tornati nel loro paese d’origine o hanno trovato impieghi più stabili e remunerativi nel campo dell’edilizia ad esempio.

Noi incontriamo i braccianti più vulnerabili, circa 1000 all’anno. Le persone censite sono poco più di 700, provenienti per la maggior parte dal Mali (circa 42%), dal Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, piccole percentuali anche da altri paesi non africani.

I braccianti agricoli che provengono dalla Cina e o dall’est Europa hanno una storia migratoria più lunga quindi possono fare affidamento su una rete che offre un sostegno anche abitativo e noi difficilmente li incontriamo.

Le persone che incontriamo sono gli ultravulnerabili che hanno bisogno di una casa, una coperta e un mezzo per spostarsi.

Negli ultimi 10 anni questa è diventata la nuova manodopera. La stagione della raccolta della frutta si è allungata perché sono cambiate anche le coltivazioni, c’è bisogno di manodopera per periodi di tempo più lunghi che sia disposta a lavorare nel periodo di picco della raccolta della frutta, anche il sabato e la domenica.

Ma come trovano lavoro i migranti che arrivano?

Nel nostro territorio la maggior parte delle aziende stila contratti, il “lavoro nero” è un problema residuale. Il contratto agricolo ha una durata variabile, può protrarsi anche per lunghi periodi. L’azienda, quando propone il contratto, deve indicare una media di giornate lavorative previste e poi pagare il lavoratore sulla base delle giornate effettivamente lavorate. Solitamente succede che il monte ore lavorato è superiore a quello dichiarato dall’azienda, quindi il lavoratore percepisce una paga oraria di circa 6 euro l’ora ma solo una parte è dichiarata in busta paga.  Questo implica alcuni problemi come per esempio nel caso della richiesta dell’indennità di disoccupazione agricola che può essere erogata solo se hai lavorato almeno 102 giornate. Anche la carta di soggiorno si può ottenere solo con un reddito dichiarato di almeno 6000 euro, il cash non conta.

I braccianti, soprattutto gli ultimi arrivati, accettano di buon grado questi soldi fuori busta, anche perché la paga oraria del saluzzese è più alta rispetto alle realtà del Sud Italia. Solo dopo alcuni anni si rendono conto che in questo modo difficilmente riusciranno a uscire dalla marginalità.

La maggior parte trova lavoro tramite una rete di amicizie, ci sono persone che lavorano parecchi mesi l’anno in una o più aziende agricole e dispongono di una sistemazione anche se non sempre ottimale, magari in qualche paesino di montagna ed è a loro che si rivolgono le aziende chiedendo di far arrivare la manodopera necessaria.

Non fanno ricorso alle liste di collocamento per comodità o per avere persone di fiducia, sappiamo, tuttavia, che questo meccanismo può innescare problemi anche di sfruttamento. Le altre problematiche si ripercuotono sul territorio, i braccianti chiamati dall’uomo di fiducia dell’azienda arrivano senza una sistemazione, sono arruolati oggi per domani per cui non è possibile programmare alcun supporto. Per fortuna molte aziende si sono sensibilizzate negli ultimi anni collaborando con i comuni per organizzare l’accoglienza.

Attualmente c’è un info point a Saluzzo dove possono rivolgersi lavoratori che hanno già un contratto, è gestito tramite il progetto Buona Terra a cui partecipano sia enti pubblici sia aziende agricole, i centri per l’impiego, il sindacato e alcune associazioni.

Noi come Caritas Saluzzo Migranti gestiamo un presidio che è aperto a tutti coloro che arrivano a Saluzzo e si rivolge soprattutto a chi ancora non ha lavoro, siamo il primo punto di accesso per i migranti. Offriamo anche un luogo dove possono lasciare i loro bagagli, per noi è un modo per entrare in contatto con loro e indurli ad aprirsi e magari a farsi registrare presso la nostra banca dati.

Cosa è successo durante il periodo del Covid?

È stato un periodo molto difficile perché tutte le procedure messe in atto dalle ASL richiedevano che il cittadino si rivolgesse al medico in caso di sintomi o contatti, si sottoponesse ad un tampone e nel caso di positività rimanesse in isolamento presso il proprio domicilio. I braccianti agricoli non avevano nessuna di queste condizioni oltre alle difficoltà linguistiche.

La scorsa estate, i Comuni hanno deciso di non aprire i dormitori che tradizionalmente venivano allestiti, nell’attesa di indicazioni dai livelli istituzionali superiori.

I centri di accoglienza hanno aperto solo alla fine di giugno e per accedervi le persone dovevano fare il tampone, molti dei braccianti che avevano dormito per strada per oltre un mese in condizioni igieniche disastrose sono risultati positivi e l’unico accesso ad un luogo dove potersi lavare erano le docce presso la nostra sede.

I primi tempi, addirittura, chi risultava positivo doveva recarsi da solo in bicicletta, scortato da una macchina, in ospedale per l’isolamento. Con il tempo si sono create delle prassi più semplici e una rete più stabile anche se le cosiddette accoglienze hub che erano i punti di approdo dei braccianti appena arrivati, ancora senza contratto, sono state chiuse.

Potete raccontarmi quali sono le attività del vostro ambulatorio

Siamo un gruppo di volontari in parte medici e infermieri e gestiamo un ambulatorio aperto due sere a settimana. Una prima fase è dedicata al triage e alle prenotazioni, poi vi è una fase di ascolto, colloquio e esame obiettivo. Le problematiche più comuni sono quelle dermatologiche, problemi di mal di stomaco, delle vie respiratorie, una grossa percentuale ha problemi ai denti. Negli ultimi mesi si è potuto aprire un servizio di odontoiatria sociale, grazie alla collaborazione di un medico dentista che ha donato l’attrezzatura e cura i pazienti gratuitamente. Due anni fa, durante il periodo del Covid, l’ambulatorio ha avuto grandi difficoltà, l’anno scorso ci siamo attrezzati cercando di organizzare diversamente gli spazi, abbiamo fatto noi i tamponi e ci siamo mobilitati per far sì che fossero vaccinati tempestivamente. Per quest’anno vorremo iniziare altre vaccinazioni come per esempio l’antitetanica e attivare insieme al Sisp dell’ASL lo screening per la TBC.

Sui vaccini abbiamo realizzato un video di spiegazione su Covid e vaccini anche perché in rete e fra di loro circolano molte fake news. Abbiamo inviato circa 230 persone al centro vaccinale, dove hanno fatto il vaccino Johnson&Johnson poiché si pensava fosse sufficiente un’unica somministrazione.

Come vive questa realtà la cittadinanza locale?

Dal punto di vista della percezione si è passati dalla sorpresa, all’ostilità, alla sopportazione e si è arrivati alla consapevolezza che senza questi lavoratori l’agricoltura collassa. Lo strumento dei flussi è superato, la complessità burocratica è troppa.

Il problema adesso è di regolare i flussi interni, ovvero trattare queste persone non come un problema ma come risorsa. È importante che diventino una ruota dell’ingranaggio, altrimenti l’agricoltura collassa.

Il grosso problema è quello della situazione abitativa, molti di loro usano materiali di recupero, si fermano sotto i portici.  La percezione dei saluzzesi è cambiata, ma potrebbe ancora cambiare se ognuno venisse in questa sede a fare volontariato.

È una città tollerante, al più indifferente: ti vedo passare in bici e se non dormi proprio sotto casa mia ti lascio stare. Alcuni anni fa il problema era più sentito di adesso poiché ci si è resi conto che sono indispensabili per l’agricoltura.

Tuttavia sono ancora due mondi separati che, di rado, si incontrano. C’è ancora lo stigma sociale per cui se sei nero sei un bracciante ed è normale che tu possa dormire per strada e spostarti con la bicicletta.  Ci sono stati anni in cui vivevano nelle baracche più o meno dal 2012 al 2018. Adesso non ce ne sono più perché nel primo periodo della pandemia si è creata una task force che girava distruggendo le baracche, tagliando le siepi dove nascondevano le coperte per evitare assembramenti. È in quel periodo che alcuni dei nostri volontari hanno realizzato le coperte che potessero essere legate alle biciclette.

Dal 2020 non ci sono più baracche, adesso dormono nei centri di accoglienza diffusa che però aprono a metà luglio, in alternativa sotto i portici costruendosi dei ripari provvisori con cartoni, alcuni anche presso i nostri dormitori.

La pioggia ha ripreso vigore, nel cortile qualche migrante sosta al riparo di grandi ombrelloni bianchi in attesa che smetta di piovere per tornare nei campi.

(1) https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/ingresso-e-soggiorno-per-lavoro-in-italia/Pagine/Normativa-e-pubblicazioni.aspx

Riferimenti

Il progetto Saluzzo Migrante di Caritas Saluzzo Home – Saluzzo Migrante

Intervista a cura di Luisella Gilardi – Centro di Documentazione per la Promozione della Salute – DoRS

luisella.gilardi@dors.it