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Disuguaglianze di salute

Studenti africani a Torino durante il Covid-19

Tempo di lettura: 4 minuti

La mia storia, come quella di molti altri amici…

Dopo aver terminato il mio corso di studi, nonostante l’impegno, non sono riuscito a trovare una collocazione stabile. Sempre lavori precari, con contratti a termine. Per un certo periodo ho fatto anche il saldatore, in un’officina meccanica di Torino. Il mestiere l’avevo imparato quando ero ragazzo, da mio padre, in Camerun.

Mi mandavano anche a lavorare in Francia, proprio perché conosco bene la lingua. Sempre però con contratti a termine, sottopagati. Se protestavo il mio capo mi diceva: “Ma guarda, Kamite, che sono questi i contratti della tua mansione e anche gli stipendi… non ti devi lamentare. Se non ti va ci sono tanti altri come te disposti a lavorare anche per meno”. Alla fine me ne sono andato.

Sicuramente il fatto di essere straniero, con permessi di soggiorno a termine non aiuta. Qui in Italia è molto complicato avere la cittadinanza. Oltre ai tempi lunghi, devi dimostrare di avere un reddito sufficiente a garantire il mantenimento tuo e della tua famiglia. 

Agli studenti stranieri, quando ci incontriamo, dico sempre: “Lo sai che hai una grande opportunità, non la puoi sprecare. Per farti venire a studiare qui la tua famiglia fa dei sacrifici, devi mettercela tutta, perché non è facile”. 

Bisogna fare attenzione a non perdere la borsa di studio. A volte è vero, i soldi della borsa non bastano, così cominci a cercare un lavoretto, per arrotondare, e trascuri lo studio. Poi è un effetto a cascata: perdi la borsa, cerchi di lavorare ancora di più e resti in ritardo con gli esami. Poi perdi l’alloggio universitario, se ne avevi diritto, e devi cercarti una sistemazione con altri studenti, ma le spese aumentano. Infine, se non riesci più a seguire gli studi, perdi pure il permesso di soggiorno.

Cosa è successo con il covid-19? 

Con la pandemia di covid-19 e soprattutto con il lockdown le cose sono molto peggiorate.

Si è fatto un gran parlare dell’insegnamento a distanza” racconta il mio amico Ibrahim. “Certo può funzionare, ma devi avere un PC, una postazione con una rete wi-fi che funzioni, un ambiente tranquillo dove seguire le lezioni”.

“Prova a seguire una lezione del politecnico in un alloggio di 50 mq, in cui si vive in 5, bloccati a casa. È vero, puoi farlo dal cellulare, ma non è la stessa cosa: ci sono le slide, i gruppi di lavoro”.

“Anche gli abbonamenti a internet e ai gestori di reti telefoniche hanno dei costi e molte volte devi dare la priorità ad altri bisogni, come il mangiare”.

L’altra questione che è diventata drammatica è quella del lavoro. Molti studenti cercano di arrotondare la borsa o di campare, quando la borsa non c’è più, con dei piccoli lavoretti. Presso agenzie, bar, ristoranti. Per mesi queste opportunità sono sparite.

Alcuni, come Johann, arrivato da un anno dal Mali, si sono messi a fare i riders, con la bicicletta. 

Fuori al freddo, ma devi pedalare, con qualsiasi tempo, con guadagni da fame. Reggi qualche settimana, poi ti ammali e perdi il contratto”. Alcuni sono arrivati anche all’ambulatorio sanitario dell’associazione, finché è stato aperto, poi anche quello ha chiuso, per i problemi legati al covid.

Un’occupazione abbastanza redditizia, che non compromette il seguire le lezioni, è quella di fare lo steward negli stadi della Juve o del Toro, oppure durante le manifestazioni commerciali. Di solito si lavora il sabato e la domenica o per un periodo limitato di giorni. Anche queste attività sono state bloccate per mesi.

Insomma, per molti studenti, ma anche per me, le possibilità di reddito sono diventate sempre più limitate e non hai diritto alle forme di integrazione previste dallo stato, perché sei straniero e, a volte, con il permesso di soggiorno scaduto. 

In questi mesi di lockdown, in particolare, abbiamo aumentato la distribuzione di viveri a casa dei gruppi di studenti. Per molti è stato un aiuto fondamentale, almeno per mangiare un pasto decente una volta al giorno.

So di alcuni studenti che, con l’aiuto delle loro famiglie, sono tornati al loro paese. Certo è una sconfitta, ma a volte non ce la fai più a reggere.

Questa mancanza di reddito per gran parte del 2020 e forse anche 2021, visto che la crisi non sembra superata, ha delle ripercussioni anche sul progetto di inserimento in Italia. L’ottenimento della cittadinanza non è solo legato agli anni di permanenza in Italia, ma devi anche dimostrare di avere un reddito sufficiente per te e la famiglia.

Nel mio caso, già prima della pandemia, riuscivo a garantire l’accesso alla cittadinanza solo per me e un figlio, ma ora, con la crisi del 2020, probabilmente il mio percorso si interrompe e dovrò ricominciare da capo.

Un altro problema legato al lockdown è stato quello dell’essere bloccati a casa per mesi.

Noi siamo in quattro, in un alloggio di circa 60 mq. al terzo piano. Sono case degli anni sessanta, con muri e solette sottili e si sente tutto. Con il bimbo più piccolo è stato molto difficile stare a casa delle giornate intere, non puoi guardare la tv tutto il giorno. Allora ti inventi dei giochi, cerchi di distrarlo, ma i vicini si lamentano: “La finite di fare tutto questo baccano! Ci siamo anche noi in questa casa… magari potete tornarvene da dove siete venuti”.

Sono quelli di sotto, una coppia di italiani con i figli già più grandi. Per i primi giorni, ogni volta che si lamentavano, cercavo di fermare mio figlio, ma poi ho pensato “Possibile che debba farmi odiare da mio figlio, solo perché i vicini non sopportano un po’ di rumore? E non a mezzanotte, ma in pieno giorno”.

Così ho cercato di spiegare la cosa: “Mi dispiace ma il più piccolo ha solo tre anni, non possiamo tenerlo legato tutto il giorno. Anch’io, quando gli inquilini di sopra avevano i bambini piccoli, ho sopportato un po’ di baccano. Mia moglie mi diceva di salire e protestare, che non si riusciva a dormire, ma io ho sempre preferito non avere problemi con i vicini”.

Però questa volta non è stato possibile, anche dopo le spiegazioni hanno continuato a protestare, così, da qualche mese, non ci parliamo più. Mi dispiace.

Cosa farò? 

Dopo la fine del lockdown sono riuscito ad entrare nel centro di distribuzione di Amazon, a Torrazza, vicino a Torino. Fra viaggio e lavoro sto fuori casa anche 12 ore, dal giovedì alla domenica, ma almeno ho un reddito fisso.

Speriamo non blocchino di nuovo tutto, che ci lascino almeno andare a lavorare.

Farò il possibile per avere la cittadinanza italiana per me e la mia famiglia. Se ce la facciamo, probabilmente, ci sposteremo in Francia, dove la situazione sembra più vivibile. Anche per i figli le condizioni sono più favorevoli, con delle integrazioni del reddito e dei supporti economici per i servizi: nidi, scuole materne, libri per le elementari.

Gli italiani sono emigrati in mezzo mondo, molti torinesi sono arrivati dalle regioni del sud negli anni sessanta, ma forse non se ne ricordano quando ci incontrano per strada.

Street journalist: Le Kamite