Le disuguaglianze sociali determinano le iniquità di salute. Ecco perché è importante che il piano regionale di prevenzione 2015-18 preveda obiettivi finalizzati a un health equity audit, investendo, in particolare, sulle azioni che si ipotizza abbiano un maggiore impatto sul contrasto delle disuguaglianze.
Un tema importante, che è stato affrontato venerdì 13 marzo, nel corso del workshop L’equità nel piano di prevenzione regionale 2015-18 in presenza di operatori della sanità pubblica e referenti per la salute coinvolti nella discussione degli interventi da inserire nel piano regionale di prevenzione, sui quali investire per ridurre le iniquità di salute (come la riduzione della sedentarietà, dell’alimentazione scorretta, dell’abitudine al fumo e degli infortuni sul lavoro).
Giuseppe Costa – coordinatore del gruppo di lavoro Equità nella salute e sanità della Commissione Salute della conferenza delle regioni – ha illustrato i dati contenuti nel libro bianco sulle disuguaglianze di salute in Italia – L’Equità della salute in Italia, di cui è coautore – che sono stati il punto di partenza della discussione: gli appartenenti alle classi sociali più svantaggiate (i più poveri, i meno istruiti, i disoccupati) sono più soggetti ad ammalarsi e registrano tassi di mortalità più alti.
“Tutte le dimensioni dello svantaggio sociale accrescono le probabilità di avere una malattia cronica, dovuta a un’accumulazione di rischi. E con la crisi la situazione è peggiorata”, spiega Costa. “In Italia il profilo di salute è ancora lontano dal superamento delle disuguaglianze. Ma se tutti gli italiani avessero lo stesso rischio di mortalità dei laureati, nel nostro Paese si registrerebbe circa il 30% di morti in meno fra gli uomini e il 10-20% di morti in meno fra le donne”.
Secondo Costa, i meccanismi da cui si originano le iniquità di salute e su cui bisognerebbe intervenire sono la stratificazione sociale, i fattori di rischio, la vulnerabilità al danno di salute e al danno sociale.
Teresa Spadea – epidemiologa del servizio regionale di epidemiologia dell’Asl To3 – ha illustrato, nel corso del seminario, un esempio pratico di applicazione dell’ health equity audit per lo screening per il tumore della mammella. Dai dati presentati si evince che lo screening rappresenta uno strumento di prevenzione efficace che non solo aumenta la sopravivenza nelle donne ma riduce anche le disuguaglianze negli esiti di salute. Tuttavia in Italia ci sono ancora differenze geografiche importanti dovute al diverso grado di copertura dei programmi nelle varie regioni.
Esiste un margine di miglioramento che potrebbe portare a un’ulteriore diminuzione delle disuguaglianze negli esiti di salute: aumentare il numero di donne che aderiscono allo screening. Come sottolinea Spadea “Le donne più svantaggiate aderiscono meno ai programmi di screening rispetto alle altre, è quindi importante intervenire in tal senso”.
“Le disuguaglianze devono essere ridotte: costituiscono un’ingiustizia sociale e incidono fortemente sull’economia di un Paese”, conclude Elena Coffano, coordinatrice del gruppo di lavoro Dors.
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Intervento di Teresa Spadea: lo screening come strumento efficace di prevenzione