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Disuguaglianze di salute

Brandizzo: qualche riflessione in ordine sparso

Tempo di lettura: 6 minuti

Un’oncia di prevenzione vale più di una libbra di cura.

Così recita un detto anglosassone, e a ragione. Il concetto era ben chiaro anche nella mente degli illuminati legislatori che, ormai quarantacinque anni fa, hanno redatto il testo della Legge che ha istituito il nostro Sistema Sanitario Nazionale, la Legge 833/78. Il principio viene declinato in modo assolutamente chiaro nel testo di legge e credo possa essere utile (e doveroso) richiamarlo: (art. 2)

Il conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo è assicurato mediante:

    1) la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;

    2) la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro;

    3) la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata;

    4) la riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità somatica e psichica; (…omissis…)

La successione dei punti lascia trasparire tutta l’importanza attribuita alla formazione di una moderna coscienza sanitaria ed alla prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro, che vengono prima della diagnosi e cura.

Purtroppo l’attualità, oggi dominata dal tragico incidente di Brandizzo e dalle sue cinque vittime, ci mostra chiaramente come i principi che hanno ispirato gli estensori della norma siano stati dimenticati. Unanime è il coro di quanti (amministratori, sindacati, politici fino alle più alte cariche dello Stato) invocano maggiori controlli e sanzioni più severe. Nessuno chiede maggiore coscienza e maggiore prevenzione, che invece sarebbe ciò che serve…

Opero in una ASL piemontese con la qualifica di Tecnico della Prevenzione da circa 35 anni, durante i quali ho avuto occasione di effettuare indagini su circa 40 casi di infortuni mortali e qualche centinaia di infortuni gravi, ma soprattutto ho vissuto direttamente la progressiva trasformazione del contesto in cui mi sono trovato ad operare, sia all’interno della ASL e dei Servizi di prevenzione, sia del mondo del lavoro e dell’intera società. L’incidente di Brandizzo (sulla base di quanto è stato divulgato dagli organi di informazione) mi induce ad alcune riflessioni.

La prima riguarda la possibile efficacia di maggiori controlli da parte degli organi di vigilanza al fine di prevenire quanto accaduto e, almeno per quanto riguarda questo incidente, la mia esperienza mi porta ad individuare un’efficacia pari a zero.

Nel caso specifico si tratta di lavori che possono essere svolti su un punto qualunque dell’intera rete ferroviaria, sono di breve durata, vengono quasi sempre organizzati sulla base di richieste fatte con scarsissimo preavviso e, di norma, vengono effettuati durante le ore in cui il traffico ferroviario è minimo, perciò nelle ore notturne. Se qualcuno crede che sia possibile effettuare una reale opera di vigilanza su lavori con queste caratteristiche lo invito a spiegarmi come si può fare…

Problemi analoghi rendono molto difficile effettuare vigilanza su altre tipologie di lavoro caratterizzate da un elevato tasso infortunistico con un’elevata incidenza di infortuni gravi e mortali, cito ad esempio l’attività di silvicoltura ed esbosco. Anche in questo caso l’attività viene svolta da piccole squadre, in luoghi sempre diversi, dispersi su un territorio vasto, quasi sempre di difficile accesso e senza che sia possibile (per l’organo di vigilanza) sapere a priori dove sarà localizzato il cantiere e quando sarà operativo. E di esempi simili ce ne sarebbero molti altri. Quindi, anche volendo ammettere che maggiori controlli portano a meno infortuni (tesi che condivido solo in minima parte per le ragioni che in parte spiegherò più avanti), occorre anche tener conto della reale possibilità di effettuare tali controlli e, forse, occorre cercare altre strade, diverse dalla vigilanza, da percorrere per ottenere una riduzione degli infortuni.

Una seconda riflessione riguarda i fattori di disuguaglianza. L’INAIL applica premi assicurativi differenziati sulla base delle mansioni, calcolati sulla base dell’indice di rischio infortunistico associato ad ogni mansione. E’ ovvio che un operaio fonditore abbia un indice di rischio significativamente maggiore di un programmatore informatico o di un impiegato del catasto. Meno ovvio, ma altrettanto vero, è che tra gli operai fonditori vi saranno molti soggetti in qualche modo già svantaggiati (lavoratori stranieri, lavoratori con bassa scolarità e scarsa o nulla specializzazione, lavoratori precari/sottopagati, lavoratori con problematiche legate alle dipendenze, con famiglie disagiate, ecc.).

Le iniziali condizioni di svantaggio comportano spesso, con un meccanismo perverso quanto efficace, che tali lavoratori siano molto poco consapevoli dei reali rischi associati alla loro mansione, e anche qualora abbiano tale consapevolezza, è probabile che accettino livelli di rischio assolutamente esagerati pur di conservare il posto di lavoro. Nella dinamica dell’incidente di Brandizzo questo meccanismo viene reso assolutamente evidente dal video ripreso da una delle vittime pochi minuti prima: i lavoratori sapevano bene che un treno avrebbe potuto arrivare, e potevano bene immaginarne le conseguenze, ma hanno accettato il rischio pensando di non avere altra scelta (Quando dico treno, vi buttate di là, frase che certamente sottende Qui si lavora così, quindi…”). A mio parere, qui sta il nodo che va risolto se realmente si vuole incidere sugli infortuni, e so bene che non è facile trovare il modo per farlo. Forse si dovrebbe iniziare con l’indignarsi per tale situazione, che invece mi pare socialmente accettata con una notevole passività.

Una terza riflessione riguarda le cause degli infortuni. Il caso di Brandizzo è caratterizzato da una dinamica decisamente semplice e l’applicazione delle regole ben note a tutti i presenti sul luogo del disastro sarebbe stata sufficiente a rendere impossibile quanto invece è accaduto. La regola è semplice in modo disarmante: sul binario o ci stanno i treni o ci stanno gli operai.

I due insieme non ci devono essere. Il riconoscimento delle responsabilità più prossime all’incidente è abbastanza facile, lo è meno individuare le cause più distali. La giustizia penale richiede che nel corso del dibattimento venga dimostrato il nesso causale fra i vari fattori e l’evento infortunistico, ma più ci si allontana dall’evento e più il riconoscimento del nesso causale diventa difficile. Dovremo attendere la conclusione del procedimento penale per sapere se verranno riconosciute responsabilità a carico del gestore della rete ferroviaria per le modalità e le condizioni con cui vengono appaltati i lavori di manutenzione della rete (condizioni che puntano sempre al massimo ribasso, anche scendendo al di sotto del minimo che sarebbe etico accettare), ma al di là di quanto verrà riportato nella sentenza mi pare sia difficile dire che tale fattore non ha avuto un ruolo nella probabilità di accadimento di questo incidente, e così per molti altri.

Un’ultima riflessione discende dalla precedente. Troppo spesso vedo che il tema degli infortuni viene approcciato in modo ideologico, tendendo ad attribuire la colpa degli infortuni a datori di lavoro senza scrupoli. Ciò è vero in alcuni casi, ma gli infortuni non sono certo tutti uguali. Una parte molto importante degli infortuni riguarda lavoratori autonomi e se a questi aggiungiamo i datori di lavoro di piccole imprese artigiane il numero aumenta ancora. Per queste figure l’approccio ideologico non funziona più e le responsabilità e le colpe vanno cercate altrove. Porto qui come esempio l’agricoltura, che è, insieme all’edilizia, il comparto con la maggiore incidenza di infortuni gravi e mortali, ma è anche un comparto costituito, nella maggioranza dei casi, da imprese individuali o, al più, a carattere familiare. Lì il datore di lavoro ed il lavoratore quasi sempre coincidono e il determinante di molti degli infortuni è la marcata sottostima del rischio. Una frequente causa di infortuni mortali nel settore agricolo è legata al ribaltamento della trattrice, cui consegue lo schiacciamento del conducente, normalmente con esito mortale (si tratta di poco più di 100 morti ogni anno).

Anche in questo caso esistono regole molto semplici la cui attuazione azzererebbe il problema: l’abbinamento di telaio di protezione del posto di guida e cinture di sicurezza. Purtroppo nel nostro paese l’età media delle trattrici agricole è molto alta (27 anni), e poche fra le macchine più vecchie sono state adeguate con l’installazione di un telaio di protezione. Altri paesi europei hanno istituito già da molti anni l’obbligo di revisione periodica delle trattrici (da noi già in vigore da tempo per le autovetture), che consentirebbe, nel giro di qualche anno, di eliminare o adeguare tutte le trattrici prive di telaio. Purtroppo, in attesa di un regolamento di attuazione, i termini previsti dal Decreto Ministeriale del 20 maggio 2015, che istituiva l’obbligo di revisione periodica delle trattrici, a distanza di otto anni continuano ad essere prorogati, e gli agricoltori continuano a morire sotto i trattori ribaltati. Una causa distale di quelle morti è l’inerzia dello Stato, lo stesso Stato i cui governanti, nei loro discorsi, tuonano contro gli infortuni. Il paradosso viene raggiunto con il fatto che i rinvii delle scadenze per le revisioni vengono propugnati in primis dalle Associazioni di categoria degli agricoltori…

Molto altro mi verrebbe da dire sul tema infortuni, ma concludo queste brevi note con qualche parola sul significato del termine “controlli”. E’ ovvio che stiamo parlando di controlli che devono avere un effetto prevenzionistico, ossia essere efficaci al fine di prevenire l’accadere di eventi infortunistici. Purtroppo negli ultimi anni ho visto prevalere, all’interno dei Servizi di vigilanza, una logica basata esclusivamente sul numero di controlli effettuati, senza che venga dato peso alle modalità di svolgimento del controllo, al suo livello di approfondimento, alla professionalità di chi lo effettua. Si arriva a conteggiare come intervento di vigilanza su di un cantiere edile il semplice invio al Coordinatore per la sicurezza di una lettera di richiesta di documenti, senza che si metta piede in quel cantiere. A un controllo di questo tipo il cantiere di Brandizzo sarebbe probabilmente risultato perfettamente regolare…


A cura di Federico Magrì, e-mail: fricu1962@gmail.com

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