Energia, equità e clima: il PNRR e la sfida dell’efficienza energetica per l’edilizia pubblica
Con l’approvazione del decreto attuativo del 9 aprile 2025, che destina 1,381 miliardi di euro all’efficientamento energetico dell’edilizia residenziale pubblica e dei condomini abitati da famiglie a basso reddito, prende corpo una delle misure più significative del capitolo RePowerEU del PNRR.
Si tratta di un investimento strategico non solo per la transizione ecologica, ma anche per il contrasto alle disuguaglianze sociali, territoriali e sanitarie.
Comprendere cosa comporti questa misura per le persone in condizioni di vulnerabilità economica ed energetica è essenziale. L’affidamento degli interventi alle Energy Service Company (ESCo) apre a interessanti opportunità, ma anche a potenziali criticità che meritano attenzione.
Energia come diritto e povertà energetica
L’investimento n. 17 della Missione 7 del PNRR si concentra sulla riqualificazione energetica di tre tipi di edifici: edilizia residenziale pubblica, edilizia residenziale sociale e condomini abitati da famiglie a basso reddito. L’accesso a un’abitazione salubre e termicamente non è più solo una questione tecnica: è un tema di giustizia sociale e sanitaria.
In Italia, la povertà energetica colpisce milioni di persone. Famiglie che non riescono a mantenere a temperatura adeguata in casa affrontano maggiori rischi per la salute, soprattutto tra bambini, anziani e persone con malattie croniche. Proprio come documentato dall’esperienza AWARM del Regno Unito, segnalata nella banca dati CARE, dove l’intervento sugli ambienti domestici ha generato significativi miglioramenti in termini di qualità della vita (fino a +21,67 anni di vita guadagnati – QALY).
Il piano italiano, pur non prevedendo un’azione diretta sul contenimento dei costi delle bollette, si propone di agire sulle cause strutturali della povertà energetica, rendendo le abitazioni più efficienti.
Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore (9 aprile 2025), i fondi saranno distribuiti su quasi 90 interventi tra Nord e Mezzogiorno, con il supporto operativo di Invitalia[1] e la partecipazione attiva dei Comuni.
Una scelta che potrebbe rappresentare una garanzia di equità e trasparenza. Tuttavia, resta aperta la domanda: i criteri adottati permetteranno davvero di raggiungere prioritariamente le situazioni di maggiore vulnerabilità?
L’intervento prevede che le ESCo, società certificate secondo la norma UNI CEI 11352, siano le uniche a poter presentare progetti e accedere ai fondi. Il meccanismo è quello della prestazione garantita: la ESCo realizza gli interventi, sostenendo i costi, e viene rimborsata attraverso un contributo a fondo perduto (65%) e un prestito agevolato (fino al 35%).
Una scelta che punta su soggetti specializzati, ma che pone interrogativi sul ruolo degli enti pubblici, delle comunità locali e degli abitanti stessi. Resta da capire se gli interventi sapranno davvero rispondere ai bisogni delle famiglie vulnerabili, oppure se prevarrà la logica della sola fattibilità tecnica ed economica.
Occorre interrogarsi sulla reale capacità dei Comuni e degli enti gestori dell’edilizia residenziale pubblica (le cosiddette ‘aziende casa’) di orientare e monitorare i progetti in modo efficace.
Il decreto, su richiesta della Conferenza Unificata, circoscrive l’applicabilità ai comuni con più di 5.000 abitanti, città metropolitane e capoluoghi. Una scelta che solleva dubbi: cosa accadrà nei piccoli comuni, dove spesso l’invecchiamento della popolazione e l’inefficienza energetica del patrimonio pubblico sono più marcati?
Questa misura potrebbe, involontariamente, ampliare il divario tra le aree urbane più attrezzate e i territori interni, spesso più vulnerabili.
Analogamente, il criterio di esclusione degli edifici che hanno già ricevuto agevolazioni negli ultimi 5 anni potrebbe penalizzare quelle realtà più attive, dove si sono già avviati percorsi virtuosi.
Clima, salute e investimenti strutturali
In un’ottica integrata di “Salute in tutte le politiche”, il legame tra ambiente costruito e salute pubblica è sempre più evidente.
Interventi di efficientamento energetico riducono le emissioni, migliorano la qualità dell’aria indoor, prevengono patologie respiratorie e cardiovascolari, riducono lo stress.
Il cambiamento climatico rende tutto più urgente e complesso. È quindi fondamentale garantire che questi investimenti siano strutturali e non episodici, assicurando al contempo la sostenibilità degli impianti installati, la loro manutenzione nel tempo e il coinvolgimento attivo delle famiglie residenti.
Un’effettiva transizione energetica giusta non può prescindere da una governance partecipata. Il modello AWARM ci ricorda l’importanza del raccordo tra servizi sanitari, sociali e tecnici. In Italia, simili sinergie sono ancora rare. Potrebbe essere questa l’occasione giusta per iniziare a sperimentarle concretamente.
I Comuni, le ASL, gli enti gestori dell’edilizia pubblica, il terzo settore e le comunità energetiche possono giocare un ruolo cruciale per individuare i fabbisogni reali, coinvolgere gli abitanti e integrare gli interventi con azioni di accompagnamento.
Domande aperte per una politica pubblica giusta
Rimangono quindi molte domande aperte: come garantire che le risorse PNRR non vadano a progetti “facili” ma a quelli prioritari dal punto di vista dell’equità; come valutare l’impatto sociale e sanitario degli interventi; come sostenere i Comuni più fragili nel predisporre i progetti e anche se è possibile introdurre forme reali (non retoriche) di co-progettazione tra ESCo, enti pubblici e cittadinanza.
Il finanziamento tramite ESCo rappresenta una sfida: può diventare un potente strumento di giustizia ambientale e sociale, oppure un’occasione mancata se non accompagnato da politiche di capacitazione locale e regole orientate all’equità.
Sta a noi, come operatori della salute, amministratori, cittadini, porre le domande giuste e attivare le energie per trasformare un dispositivo tecnico in una leva di cambiamento reale.
Inoltre sarebbe il momento di affrontare questioni spinose che continuano a penalizzare enormemente i cittadini che vivono in case di edilizia pubblica, come la corretta valutazione del teleriscaldamento e la promozione di interventi di riqualificazione a basso costo e alto impatto.
Riguardo al teleriscaldamento, i cittadini hanno scelto questa forma di riscaldamento per promuovere il risparmio energetico collettivo, dato che ha un basso impatto energetico, in quanto usa il calore generato dalla produzione di energia elettrica che verrebbe disperso.
Essi sono da molti anni incredibilmente penalizzati sia dal punto di vista della classificazione energetica degli edifici, dove il teleriscaldamento è equiparato alla vecchia caldaia di condominio, sia dal punto di vista economico, perché viene loro addebitato dalle grandi società di gestione energetica, un costo molto alto che non tiene conto dell’origine del calore usato, già compensato dalla vendita dell’energia elettrica prodotta e dalla combustione dei rifiuti da parte degli inceneritori.
Riguardo alle forme di isolamento degli edifici, sarebbe ora di iniziare a usare in modo sistematico tecniche di insufflaggio di isolanti nelle casse vuote dei muri perimetrali degli immobili di edilizia pubblica, che in molti casi sono possibili, costano molto meno, possono essere realizzate in tempi rapidi e hanno ottime prestazioni riguardo all’abbattimento delle dispersioni, anche se forse porterebbero minori margini nelle casse delle società che realizzano gli interventi.
Anche questi temi potrebbero coinvolgere molti cittadini in processi di partecipazione finalizzati a migliorare la gestione delle politiche e la promozione dell’equità e della sostenibilità.
[1] Agenzia nazionale per lo sviluppo, incaricata di promuovere la crescita economica dell’Italia, soprattutto attraverso il sostegno alla creazione e allo sviluppo di imprese, con un focus su settori strategici e territori svantaggiati
A cura di Silvia Pilutti, Prospettive ricerca socio-economica s.a.s.